Nell’articolo dal titolo “L’uomo che nasce da un chicco di riso” (La Stampa, 10 agosto 2014) che ci è stato gentilmente concesso di citare, Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose, si esprime così:
“Le risaie, prima di essere la culla dell’alimento principale di oltre la metà della popolazione mondiale, sono una delle dimostrazioni più eloquenti del rapporto tra coltura e cultura: fare spazio a un cereale proveniente dall’estremo oriente, modellare la pianura anno dopo anno, progettare una rete di canali e di fossi e ripartire il terreno in “camere”, come se i campi fossero il disegno a cielo aperto della pianta di una casa in costruzione, con le paratie e le chiuse al posto degli usci… Tutto questo richiede l’assunzione di un preciso modo di pensare e di porsi in rapporto alla terra, all’acqua e agli altri, non fosse che per coordinare il momento cruciale in cui il terreno seminato viene ricoperto da un velo e diviene terra d’acqua.”
Ecco: è per questo che coltiviamo il riso con amore, ricambiati da tutto il piacere che sa dare a chi lo coltiva, lo cucina, lo gusta.